"Precisamente il genere di libro che, se fossi milionario, comanderei su misura" scrisse "Punch".
Quel libro, uscito nel 1980, era l'opera prima di un serio professore italiano di semantica, Umberto Eco. Il suo titolo è notissimo, "Il nome della rosa", e tutti ne conoscono la trama: un sagace frate francescano, Guglielmo da Baskerville (notare l'ironica scelta di Baskerville per un investigatore degno di Sherlock Holmes), e il suo giovane aiutante, il novizio Adso da Melk, si trovano a indagare su strani delitti che avvengono in un'abbazia dell'Italia settentrionale sul finire dell'anno 1327. Sullo sfondo si muovono gli intrighi di potere all'interno della Chiesa avignonese, con l'inquisitore Bernardo Gui, grandi e piccoli eretici. Il romanzo fanta-storico ora in auge era ancora di là da venire, le porcate di Dan Brown ancora non esistevano. Ma il pubblico decretò, nonostante la difficoltà del testo e l'oscurità del periodo storico, un successo mondiale per "Il nome della rosa".
Nel 1988 il regista francese Jean-Jacques Annaud ne trarrà un film abbastanza fedele all'originale affidando nientemeno che a Sean Connery il ruolo di Guglielmo.
È un collage di citazioni, di brani scritti secondo stili diversi, con diversi livelli di lettura: qui sta il suo fascino, quello che strega il recensore di “Punch” e tanti altri come lui.
"Avevo voglia di avvelenare un monaco": spiegherà così Umberto Eco la nascita del romanzo in una Postilla su "Alfabeta" n. 49 del giugno 1983. Il Medioevo gli parve la scelta vincente. L'alternativa era un monaco investigatore che leggeva "il manifesto" in un convento contemporaneo... Eco, che ama giocare con le citazioni colte, stupisce il lettore sin dall'incipit, che è lo stesso del Vangelo di Giovanni: "In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio". Nessun best-seller negli Anni '80 riuscì ad eguagliare la perfezione del "Nome della rosa".
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